Scipione nelle Spagne, Barcellona, Figueró, [1710]

 ATTO PRIMO
 
 Atrio corrispondente a gran cortili del palazzo di Scipione.
 
 SCENA PRIMA
 
 SCIPIONE, MARZIO, seguito di littori, di soldati romani, di schiavi
 
 SCIPIONE
 Duci, nel suolo ispano
 vinta è Cartago e di un sol giorno è ’l frutto
 sì grande aquisto. Appena
 l’altra, del nostro impero emula antica,
5Cartago il crederà. Seco ne trema
 l’Affrica, ond’ella è cinta; e ’l valor nostro,
 già fra quanti ella chiude, è ’l suo gran mostro.
 MARZIO
 Che a le leggi di Roma
 abbia il mondo a servir scritto è ne’ fati.
10Signor, la tua virtude
 ne affretta il corso. In sì verd’anni oprasti
 tai cose e tante...
 SCIPIONE
                                 Oprolle
 col zelo mio, col braccio vostro, il grande
 genio di Roma. A lui de l’opra il merto,
15a noi l’uso ne resti.
 Marzio, tua cura intanto
 sia la turba cattiva. Avvinti e domi
 vegga Cartago i suoi. Roma li vegga.
 Quella in suo disonor. Questa in suo fasto.
20Gli altri sien custoditi
 più in ostaggio che in odio; il lor riscatto
 sarà per voi, forti guerrieri, un nuovo
 premio della fatica e del trionfo.
 MARZIO
 Grande hai la fama ed hai più grande il core.
 SCIPIONE
25(Ma fra le glorie il fe’ suo schiavo amore).
 
 SCENA II
 
 ELVIRA e detti
 
 ELVIRA
 Invitto, eccelso duce, a’ tuoi trionfi
 altro fregio non manca
 che il ben usarli. Hai vinto
 l’afro e l’ibero; or vinci
30la tua stessa vittoria e non ti renda
 favor di cieca sorte empio o superbo.
 Sono ispana e mi diede
 pari al natal spiriti illustri il cielo.
 L’esser tua prigioniera
35non è l’affanno mio. Stretto anche il piede,
 anche reciso il crine,
 seguirò Scipio e seguirollo in pace.
 Ma che sovra la mia
 sacra onestà, la militar licenza
40mediti nuove palme,
 questa, è questa, o signor, mia pena e tema.
 Ah! Tu mi sii custode,
 tu difensor. Se l’umil voto e giusto
 o t’irrita o ti offende,
45sappi che a me rimane
 da l’armi illeso e dal poter di Roma
 un magnanimo core,
 cor che a difender basta,
 anche a costo di sangue, il proprio onore.
 SCIPIONE
50(In sen di donna ha cor di eroe). Qual fia,
 Marzio, costei che ha tutta
 la beltà del suo sesso e tutta insieme
 la fortezza del nostro?
 MARZIO
                                          In lei tu scorgi,
 signor, la bella Elvira,
55a Cardenio germana,
 che in fertil suolo agl’Illergeti impera.
 Ne la vinta Cartago
 mio fu l’onor del suo servaggio. (Ah! Ch’io
 restai sua preda e tu lo sai, cor mio).
 SCIPIONE
60Regal vergine Elvira,
 Scipio tutta v’impegna
 l’autorità del grado
 in difesa e in favor. Roma ha per legge
 di onorar la virtù, non di oltraggiarla.
65Marzio, a te qui l’affido,
 anzi a la tua virtude. Essa nel campo
 ospite sia, non schiava. Amisi in lei
 il cor più che il sembiante;
 e la rara beltade a te soggetti
70vegga, al par de’ nemici, anche gli affetti.
 ELVIRA
 Ben degno sei de la tua fama...
 
 SCENA III
 
 TREBELLIO e detti
 
 TREBELLIO
                                                          Ah! Duce...
 SCIPIONE
 Che fia Trebellio?
 TREBELLIO
                                    O Sofonisba è morta
 o vicina a morir lotta con l’onde.
 SCIPIONE
 Che? Sofonisba? O dio! Come?
 TREBELLIO
                                                           Poc’anzi
75da l’alta torre, onde sul mar si stende
 libero il guardo, ella gittosi e cadde
 con sì subito salto
 che invan si accorse a sostenerla.
 SCIPIONE
                                                              Ah! Basta,
 già troppo intesi. Empio destin, trovasti
80con che atterrirmi. Invan sei forte, o core;
 né in te sento l’eroe, sento l’amante.
 Misera Sofonisba!
 Misero Scipio!
 ELVIRA
                              È degno
 di sì illustre dolor sì strano caso.
 SCIPIONE
85Che giova inutil pianto? Ite Romani,
 de la bella al periglio
 cerchisi scampo. Ite, pietoso il mare
 forse l’accoglie. Almeno
 l’onor non se gli lasci
90del suo sepolcro. Ite veloci. Ah! Scipio
 restar tu puoi? Colà ti chiama, o core,
 il tuo amor, la tua pace, il tuo dolore.
 
    Non mi giova d’esser forte;
 sento al duol che sono amante.
 
95   Se nel rischio del mio bene
 vuo’ far fronte a le mie pene,
 crudel sembro e non costante.
 
 SCENA IV
 
 ELVIRA e MARZIO
 
 MARZIO
 Aman anche gli eroi. Scipio anche serve
 a le leggi di amore.
 ELVIRA
100Fiamma gentil che a nobil cor si apprende.
 (Tal per Luceio anche quest’alma avvampa).
 MARZIO
 E sol la bella Elvira
 si sdegnerà che Marzio n’arda e l’ami?
 ELVIRA
 Arda egli pur ma per Elvira ei formi
105voti di ossequio e saggio
 corregga il volo a’ suoi mal nati affetti.
 MARZIO
 Nacquer da voi, begli occhi,
 gl’incendi miei; non condannate un’opra
 del poter vostro o la punite in voi.
 ELVIRA
110E in me la punirò. Da Sofonisba
 prenderò esempio e legge. In sì ria sorte
 il men che mi spaventi è la mia morte.
 
    Se il tuo amore è mio delitto,
 nel mio sen lo punirò.
 
115   Questo volto ho già in orrore,
 perché piacque al tuo vil core
 né col mio si consigliò.
 
 SCENA V
 
 MARZIO
 
 MARZIO
 Con ritrosa beltà non giovan prieghi,
 gioveran le minacce;
120i torti de l’amante
 vendichi il vincitor. Mia voglio Elvira.
 Sia ragione o vendetta,
 piace o lice il consiglio, amor lo inspira.
 
    Amar per sospirar
125non è che vanità,
 che frenesia.
 
    Se amor non compra amor,
 vincasi col rigor
 beltà ch’è ria.
 
 SCENA VI
 
 Campagna con veduta della città di Cartago e parte di mare da l’altra.
 
 SOFONISBA e LUCEIO
 
 LUCEIO
130Tu Sofonisba mia?
 SOFONISBA
                                     Tu mio Luceio?
 A DUE
 
    Non lo credo agli occhi miei
 e pur sei l’idolo mio.
 
    Ho timor che un tanto bene
 sia lusinga della spene,
135sia fantasma del desio.
 
 LUCEIO
 Ma qual barbara legge
 nel sordo mar quasi ti trasse a morte?
 SOFONISBA
 Quella del mio destin. Veggo in un giorno
 la città presa, i miei disfatti, il padre
140ferito e schiavo. I ceppi suoi compiango,
 compiango i miei. Scipio mi vede e accresce
 con l’amor suo le mie sciagure. Il grido
 mi giunge alfin de la tua morte. A questo
 funesto ultimo colpo
145più non resisto. Odio la vita. A’ flutti
 mi spingo in seno, o disperata o forte.
 Mi opprime il mar. L’onda qua e là mi volve,
 perdo il dì. Manca il senso,
 poi non so come in su la spiaggia asciutta
150riapro gli occhi e a te mi trovo a canto,
 a te mio ben, sì sospirato e pianto.
 LUCEIO
 Non fur meno de’ tuoi strani i miei casi.
 Dacché a l’armi romane
 cede il punico Marte e ’l Marte ibero,
155lasso anch’io da la pugna
 rittraggo il piè. Giungo ove giace un nostro
 guerriero estinto e, col favor de l’ombre,
 cuopro me del suo usbergo e lui del mio.
 Corre intorno la fama
160che morto io sia. Questa mi giova. Intanto
 chiedo di te. T’odo prigion. M’aggiro
 presso Cartago e mentre,
 spinto da l’amor mio,
 cerco la via men osservata al passo,
165veggo nel vicin flutto
 donna cader da l’alta torre. A l’uopo
 non tardo accorro e a morte
 te in lei sottraggo, anzi me stesso, o cara,
 che la morte più ria
170nel sen di Sofonisba era la mia.
 SOFONISBA
 Or che salvo è Luceio,
 del rigor vostro, o dei, più non mi dolgo.
 LUCEIO
 Né dolerci convien. Salda costanza
 provano i casi avversi.
 SOFONISBA
175Ahimè! Scipio qui giunge.
 LUCEIO
                                                   A lui si asconda
 la sorte mia. Di’ solo
 ch’io sono ibero e che ti tolsi a l’onda.
 
 SCENA VII
 
 SCIPIONE con seguito e detti
 
 SCIPIONE
 Principessa, a’ tuoi lumi
 sì odioso son io che men ti sembra
180grave il morir? Con qual oltraggio un tanto
 dolor io meritai sul tuo periglio?
 Perdona, o Sofonisba;
 se in me temi un nemico, hai cor ch’è ingiusto,
 se in me abborri un amante, hai cor ch’è ingrato.
185Son Scipio e benché cinto
 di usbergo il sen, benché di allor la chioma,
 sento che posso amarti
 senza oltraggiare o Sofonisba o Roma.
 
    Care labbra, voi tacete;
190ma tacendo ben comprendo
 che per voi parla il rigor.
 
    Voi almeno rispondete,
 luci belle, vive stelle,
 donde il foco accende amor.
 
 SOFONISBA
195Signor, perdita lieve era a’ tuoi fasti
 quella di un’infelice.
 Volli morir; ma il mio destin ne incolpa;
 e fra le mie sciagure
 io non conto, o Scipion, l’esser tua schiava.
200Pur vedi a quali estremi
 mi ha ridotto il rigor di un’empia sorte,
 che di fierezza accuso
 sin la pietà di chi mi tolse a morte.
 SCIPIONE
 Ma l’amor mio nol lasci
205senza mercé né senza gloria. Vieni,
 qualunque sii, fra queste braccia, amico.
 LUCEIO
 Gli amici di Scipione
 sono gli eroi; né di quel sen gl’amplessi,
 ove palpita un cor tutto grandezza,
210merta uom di sangue e più di fama oscuro.
 Bacciar quel piè, che preme
 fasci di palme, assai mi fora, o duce.
 Né a l’opra mia dei maggior premio. Io tutto
 feci per Sofonisba,
215nulla per te. Lei salva,
 trovo la gloria mia, la mia mercede.
 Chi per te nulla oprò nulla ti chiede.
 SCIPIONE
 Sensi sì generosi
 non lo additano uom vil. Qual sia, ti è noto,
220il tuo liberator?
 SOFONISBA
                                Guerriero ispano,
 nulla di più.
 LUCEIO
                          Nacqui fra’ boschi. Il mio
 nome è Tersandro; e ’l primo
 ufficio de la destra
 fu romper glebe e ’l maneggiar vincastri.
225Quindi in usbergo e scudo
 cangio marra ed aratro e di Luceio
 sotto l’insegne a militar mi spinge
 desio di fama. Il veggo
 cader sul campo e trionfar del nostro
230il destino di Roma.
 Sopraviver mi sembra
 pena e viltà. Volgo a Cartago il piede
 e cerco i tuoi sol per morir da forte.
 Salvo qui Sofonisba
235ma la salvo a Luceio. In quel bel core
 vive ancora di lui
 e la parte più cara e la migliore.
 SCIPIONE
 Quel magnanimo cor, che su le labbra
 ti favella, o Tersandro,
240e quel nobile aspetto in cui t’ammiro
 smentisce i tuoi natali o gli condanna.
 Qualunque sii, t’apro il mio core. In prezzo
 de la vita serbata a Sofonisba
 la nemistà di Roma a te perdono,
245ti voglio amico e libertà ti dono.
 SOFONISBA
 (Salvo è Luceio e fortunata io sono).
 LUCEIO
 I doni di Scipione
 son grandi, è ver; ma di Tersandro il core
 è di loro maggiore.
250Il perdono tu m’offri e non lo voglio.
 Volerlo è un atto vile
 e viltà mai non cape in petto ispano.
 La libertà mi rendi e non l’apprezzo.
 Non è mai di conforto,
255a chi oppresso è da mali, un mal di meno.
 L’amistà mi proponi e non l’accetto.
 Ella non è mai frutto
 di volgar prezzo e di sì pochi istanti;
 so qual tu sei; ma sappi
260che di Luceio un suddito leale
 esser non puote amico al suo rivale.
 SCIPIONE
 (Ardir che m’innamora
 sin con l’offese). Orsù, Tersandro, vieni
 meco in Cartago. In testimon ti voglio
265de l’opre mie per meritarti amico.
 LUCEIO
 Seguirò il mio destin più che i tuoi passi.
 (Così sarò di Sofonisba al fianco).
 SCIPIONE
 Non difficile impresa
 mi fia quel cor, benché nemico e rio;
270la fierezza del tuo più mi spaventa,
 ingiusta Sofonisba.
 SOFONISBA
                                      Odimi, o duce,
 quando fia che Tersandro
 mi dica: «Ama Scipione, io tel comando»
 il mio cor cesserà d’esserti ingiusto.
275Nel suo voler, il mio voler rimetto.
 SCIPIONE
 Tu mio giudice il rendi ed io l’accetto.
 SOFONISBA
 
    Mai non dirà quel labbro
 ch’io serva al tuo desio
 e manchi al dover mio
280l’alta mia fede.
 
    Se mi sia legge o gloria
 de l’idol mio diletto
 l’affetto e la memoria
 egli ben vede.
 
 SCENA VIII
 
 LUCEIO
 
 LUCEIO
285Gran virtude ha Scipione,
 gran beltà Sofonisba. E quella e questa
 mia speranza diviene e mio terrore.
 Temo che quella ceda a un sì bel volto;
 temo che a questa piaccia un sì gran merto.
290Già fra’ miei voti incerto
 vorrei questo men grande e pur mi giova,
 vorrei quello men vago e pur mi piace.
 Ma che? Dove è virtù, lunge la tema,
 che amor di nobil alme
295forze accresce a virtude e non le scema.
 
    Ritenga la virtù
 gli affetti in servitù,
 in fede la costanza e son contento.
 
    Sì nobile rival,
300beltà così leal
 di conforto mi sia, non di spavento.
 
 SCENA IX
 
 Accampamento de’ Romani, con padiglione di Marzio nel mezzo.
 
 CARDENIO e TREBELLIO
 
 TREBELLIO
 Sì, di Marzio il tribuno
 la tenda è questa; e qui di Elvira attendi,
 la real tua germana, il presto arrivo.
305Sua spoglia ella divenne
 ne la presa città.
 CARDENIO
                                 Trebellio amico,
 dovrò a te il gran piacer del rivederla.
 TREBELLIO
 Prence degl’Illergeti,
 generoso Cardenio, io pur ti deggio.
310In te ben riconosco
 il mio liberator. Dal re tuo padre
 libertà m’impetrasti e ti son grato.
 CARDENIO
 Riconoscenza in nobil alma ha sede.
 TREBELLIO
 Dove onor non mel vieti,
315il mio affetto t’impegno e la mia fede.
 
    Non fia mai ch’io chiuda in petto
 un obblio di libertà.
 
    Caro dono e grato affetto
 stringa il laccio e l’amistà.
 
 SCENA X
 
 CARDENIO
 
 CARDENIO
320Sofonisba ed Elvira
 son del pari fra’ ceppi.
 L’amata in quella e la germana ho in questa.
 Ma prevale a l’amore
 forza di onor. Sieguo la legge e sento
325che si chiede un gran colpo al braccio invitto;
 orror ne ha ’l sangue e teme
 che un atto di virtù sembri delitto.
 
    Disciolto dal peso
 di rigido onore,
330del dolce mio amore
 poi tutto sarò.
 
    O lui da catene
 fedel scioglierò;
 o seco le pene
335comuni averò. (Si ritira in disparte)
 
 SCENA XI
 
 ELVIRA e MARZIO
 
 MARZIO
 Offese non minaccio. Amor richiedo.
 ELVIRA
 Per un’alma pudica
 amante impuro è l’offensor più rio.
 MARZIO
 Intendo, Elvira, intendo.
340Spiace in Marzio l’amante,
 piaccia lo sposo; e d’imeneo la face
 in me purghi le fiamme, in te le accenda.
 ELVIRA
 Io nata al soglio, a vil tribuno io sposa?
 MARZIO
 Che vil? Basta che Roma
345patria mi sia, perché al mio sangue a fronte
 scemin gli ostri reali anche di prezzo.
 Tribuno in campo e cavagliero in Roma,
 con offrirti il mio nodo,
 più di quel ch’io ne tragga, a te do freggio.
 ELVIRA
350E d’un tal freggio, o cavaglier tribuno,
 abbiasi fortunata
 più degna sposa. Elvira schiava, Elvira
 nata in cielo stranier tanto non merta.
 MARZIO
 La scelta mia ti onora; e qui di Marzio
355ti è gloria il nodo ed il voler ti è legge.
 ELVIRA
 Ma tal gloria non curo,
 tal legge non pavento. Amante e sposo,
 e ti abborro del pari e ti rifiuto.
 MARZIO
 Troppo ti abusi, ingrata,
360di mia bontà. Son vincitor. Sei mia.
 Ho poter. Ho ragion. Puosso, se voglio.
 Basta, pochi momenti
 ti lascio in libertà. L’utile indugio
 sia consiglio al voler, freno a l’orgoglio.
365Già dissi. Tu risolvi. E puosso e voglio.
 
    Impari a temermi
 chi amarmi non sa.
 
    Disprezzo impunito
 superbia si fa;
370e affetto schernito
 diventa viltà.
 
 SCENA XII
 
 ELVIRA e poi CARDENIO con ferro in mano
 
 ELVIRA
 Iniquo! A tal eccesso
 misera io son che temer puosso un’ira?
 Un’ira che m’insulta e non mi uccide?
375Aimè! Chi mi recide
 l’alma dal sen! Dov’è un acciar? La morte
 mancar può a l’infelice? Eterni numi,
 chi per pietà mi toglie
 a l’empia brama, al barbaro comando?
 CARDENIO
380Di Elvira il core e di Cardenio il brando!
 ELVIRA
 O dio! Tu qui, germano?
 CARDENIO
 O degna di miglior sorte!
 Io testimon qui giunsi
 di tua virtude e qui ti reco, o cara,
385un rio soccorso, una pietà crudele.
 ELVIRA
 Crudeltà che mi salva
 dal peggior mal? Su vieni
 e l’onorata spada in sen m’immergi.
 CARDENIO
 Ed avrò cor?
 ELVIRA
                          Poi fuggi
390l’ire feroci. Il vecchio padre abbracci
 in te quel che gli resta
 pegno d’amor; gli sia
 grata la morte e la memoria mia.
 CARDENIO
 O dio! Perché de l’empio
395prima non tinsi entro il reo sangue il ferro?
 Ah! La sua morte a’ ceppi
 non si togliea. Ne l’ostil campo ancora
 potea far nuovi amanti il tuo bel viso;
 né tutto era il tuo scampo un Marzio ucciso.
 ELVIRA
400Sol mio scampo è ’l morir. Destra fraterna
 caro mel rende e in te ne baccio il ferro,
 che dee la strada al cor pudico aprirsi,
 ove del mio Luceio impresso è ’l nome.
 Questa, deh! mi perdona
405colpa innocente, un amor casto e degno,
 amor che verrà meco anche agli Elisi
 e a quell’ombre beate
 farà invidia e pietate.
 CARDENIO
 (Lagrime non uscite).
 ELVIRA
410Or che più tardi? Accresce
 ogni maggior dimora
 il rischio mio, perch’è tuo rischio ancora.
 CARDENIO
 Faccia la tua virtude
 core a la mia. Quella mi regga e quella
415m’insegni ad esser forte.
 ELVIRA
 Ecco il sen. N’esca l’alma,
 sinch’è candida e pura.
 Morir per l’onestà non è sciagura.
 CARDENIO
 Barbaro onor! Già ti ubbidisco e ’l nudo
420ferro t’immergo in sen.
 
 SCENA XIII
 
 MARZIO, poi SCIPIONE, TREBELLIO, LUCEIO con seguito e detti
 
 MARZIO
                                             Fermati, o crudo.
 ELVIRA
 O ciel! Marzio.
 CARDENIO
                              L’oggetto
 de l’ire mie. Mori, lascivo.
 MARZIO
                                                  Il fio
 tu pagherai, da quest’acciar trafitto,
 de la tua crudeltà, del tuo delitto. (Si battono)
 SCIPIONE
425Olà? Marzio, qual’ire? Onde quest’armi?
 MARZIO
 Signor, le mosse un cieco
 o sia insano furor. Costui di Elvira
 tentò la morte. Io scudo
 feci col mio de l’innocente al seno;
430e la sua rabbia alora
 volse l’acciar contro il mio petto istesso.
 SCIPIONE
 Ma te chi spinse a così enorme eccesso?
 CARDENIO
 Forza di onor. Tu che sei giusto o duce,
 odi le mie discolpe
435e assolva i falli miei l’altrui delitto.
 Cardenio son. Mi è suora Elvira. Oltraggi
 medita Marzio a l’onestà di lei.
 MARZIO
 Io...
 SCIPIONE
           Taci. Ei siegua.
 LUCEIO
                                         (Il mio rivale è questi).
 ELVIRA
 (Quegli è ’l mio ben; come di Scipio al fianco?)
 CARDENIO
440Lo veggo e ’l sento. A l’onta
 vuo’ sottrarla col ferro. Egli mi arresta.
 Tento punirlo. Non uccisi Elvira.
 Marzio ancor vive; e la mia colpa è questa.
 ELVIRA
 Colpa sì bella è degna
445del tuo favor. Fu Elvira
 che a lui chiese la morte
 e l’istessa onestà n’era il gran prezzo.
 Marzio, che m’insultò, Scipio anche offese;
 e se Scipio il difende,
450reo de l’altrui perfidia anch’ei si rende.
 SCIPIONE
 Tribun, tu così ardito?
 Così rispetti un mio comando?
 MARZIO
                                                           Elvira
 restò mia schiava e sovra lei mi danno
 l’armi e leggi autorità sovrana.
 SCIPIONE
455Ma non sovra il suo onor. Tu ne perdesti
 con abusarne ogni ragion. Trebellio.
 TREBELLIO
 Signor.
 SCIPIONE
                 Scortisi Elvira
 tosto in Cartago. Questa
 sia la prima tua pena, o cor lascivo. (A Marzio)
 MARZIO
460(Pena crudele! Io perdo Elvira e vivo?)
 ELVIRA
 
    Ne la mia sorte ria,
 non imploro altro ristoro
 or che salva è l’onestà.
 
    Soffro in pace ogni martoro
465e non sei de’ voti miei
 quel che piango, o libertà.
 
 SCENA XIV
 
 SCIPIONE, LUCEIO, CARDENIO e MARZIO
 
 LUCEIO
 (Sempre maggior scorgo il rivale).
 MARZIO
                                                                 Ah! Questo
 de’ miei sudori a pro di Roma è ’l frutto?
 Questa del sangue sparso è la mercede?
470Marzio pur sono? Io lauri
 a te pur colgo? Io primo
 pur su le mura ispane
 l’aquila inalzo e le difese espugno?
 E di tanti trofei la sola spoglia
475così mi è tolta?
 SCIPIONE
                               A te la tolgo, è vero,
 anzi al tuo amor; ma del riscatto il prezzo
 tuo ne sarà.
 MARZIO
                         Non regna,
 Scipio, in quest’alma un mercenario affetto.
 A torto tu mi offendi. A torto illeso
480lasci Cardenio. Ei reo
 di più colpe trionfa. Egli nemico
 entrò nel campo. Ei di un roman tribuno
 portò furtivo entro la tenda il passo.
 Ei m’insultò col ferro; e pur si soffre,
485che più? Fa’ ch’ei m’uccida e ’l tronco capo
 mostri in trionfo a’ tuoi soldati e a’ miei.
 Duce, del torto mio ragion non chiedo.
 Del publico la chiedo; e se impunito
 lasci l’ispano ardito,
490tel giuro, i miei guerreri e i tuoi pur anco
 sapran punirlo anche di Scipio al fianco. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 SCIPIONE, CARDENIO e LUCEIO
 
 SCIPIONE
 Un amor disperato
 cieco è ne l’ira. A Marzio
 tolsi l’oggetto e l’onor tuo difesi.
495Ora è giusto, o Cardenio,
 che del tuo ardir prenda la pena anch’io.
 Cedi l’acciar, nemico a Roma e mio.
 CARDENIO
 E aggiungi tuo rival. L’odio in te cresca
 con la ragion di quell’amor ond’ardi.
500Ecco l’acciar.
 SCIPIONE
                           Guerrieri,
 entro Cartago il prigioner si guidi.
 LUCEIO
 (Benché rival compiango
 la sorte sua).
 CARDENIO
                           Comunque
 col tuo voler di me decreti il fato,
505rammenterò che hai l’onor mio difeso;
 e morrò col rossor d’esserti ingrato.
 
    Hai virtù che m’innamora
 quasi al par del caro bene.
 
    E convien ch’io t’ami ancora,
510benché autor de le mie pene.
 
 SCENA XVI
 
 SCIPIONE, LUCEIO e poi SOFONISBA
 
 SCIPIONE
 Tersandro, atro pensiero
 t’empie la fronte.
 LUCEIO
                                   In su la fronte, o duce,
 l’alma si spiega.
 SCIPIONE
                                Il labbro
 n’è interprete più fido. Onde il tuo duolo?
 LUCEIO
515Da te Scipio, da te. Spandesi in tutti
 la tua beneficenza. In me de’ mali
 tutta versi la piena.
 SCIPIONE
                                      In che ti offendo?
 LUCEIO
 In che? Ne’ ceppi altrui.
 SCIPIONE
                                               Non anche intendo.
 LUCEIO
 Di’, comun con Cardenio
520non ho la patria?
 SCIPIONE
                                  È ver. D’Iberia il cielo
 forse mai non produsse alme sì grandi.
 LUCEIO
 Or tu mi offendi in lui. Le sue catene
 mia pena ancor si fanno;
 e lui mirar non puosso
525che in te insieme non miri il suo tiranno.
 SCIPIONE
 Suo giudice or son io. Deggio punirlo,
 se colpevole ei fia.
 LUCEIO
                                    Ma dirà ’l mondo
 che nemico il punisci,
 perché l’odi rival; sol nel tuo core
530lo fa reo Sofonisba ed il tuo amore.
 SCIPIONE
 Ami sua libertade?
 LUCEIO
                                      Ed amo in essa
 la gloria tua.
 SCIPIONE
                          Sta in tuo poter.
 LUCEIO
                                                          M’imponi
 qual vuoi più dura legge. Eccomi pronto.
 SCIPIONE
 Giungi opportuna, o principessa.
 SOFONISBA
                                                              Il fato
535di Cardenio mi è noto,
 di Scipio l’ira e di Tersandro il voto.
 LUCEIO
 (Che sarà mai?)
 SCIPIONE
                                 Custodi,
 tosto rechisi a me gemmato acciaro.
 SOFONISBA
 (Per un rival troppo ti esponi, o caro). (A Luceio)
 SCIPIONE
540Quel che ti pende al fianco,
 peso guerrier, pria tu mi cedi.
 LUCEIO
                                                         Intendo.
 A’ ceppi di Cardenio
 lieto succedo. Eccoti il ferro e sappi
 che tormelo dal fianco
545mia virtù sol potea.
 SOFONISBA
                                      (Virtù funesta).
 SCIPIONE
 Giurati amico mio. La legge è questa.
 SOFONISBA
 (Respiro).
 LUCEIO
                      (Accerba legge,
 che mi toglie sin l’odio
 di un mio rival per liberarne un altro).
 SCIPIONE
550Tanta pena ti costa
 l’amistà di Scipion?
 LUCEIO
                                       Più che non pensi.
 Ma lo vuole il destin. Giuro...
 SCIPIONE
                                                       Su questo
 brando lo giura, indi il gradisci in dono.
 LUCEIO
 Giura Tersandro ed or tuo amico io sono.
555E sia pegno di fé questo, che or prendo,
 illustre acciar, tuo dono,
 e in tuo serviggio al guerrier fianco appendo.
 SOFONISBA
 (Eroiche gare!)
 SCIPIONE
                               A la città mi affretto,
 onde Cardenio in libertà ritorni.
560Mi è pena ogni momento,
 nel qual per lui tuo debitor mi sento;
 colà ti attendo e teco
 venga ancor Sofonisba. Amor vien meco.
 
    Occhi belli, prendete un addio
565e voi, cari, un addio mi rendete
 ma con raggio di affetto pietoso.
 
    Saria colpa del fido amor mio
 il lasciarvi e ’l non dirvi che siete
 mia delizia, mio ben, mio riposo.
 
 SCENA XVII
 
 LUCEIO e SOFONISBA
 
 SOFONISBA
570Ah Luceio! Ah mio ben! Come unir puoi
 due sì contrari oggetti,
 l’amistà di Scipione a te rivale,
 l’amor di Sofonisba a te diletta?
 LUCEIO
 Di sì rari prodigi
575la gloria e ’l merto a la virtù si aspetta.
 Non ti doler, mia cara,
 e misura il mio amor dal mio gran core.
 SOFONISBA
 Ma chi può amar Scipione
 perder anche mi può senza dolore.
 LUCEIO
 
580   Sorte ria
 può voler che non sii mia,
 non ch’io lasci di adorarti.
 
    Dal ciel pende il tuo possesso
 ma sol pende da me stesso
585la costanza de l’amarti.
 
 SOFONISBA
 
    Può ria sorte
 darmi pena e darmi morte,
 non mai far ch’io tua non sia.
 
    Tu sei solo il dolce oggetto
590de la speme e de l’affetto
 e tu sol l’anima mia.
 
 Fine dell’atto primo